Una meta-analisi su oltre tremila studi scientifici in molti ambiti della medicina, rivela che sopravvivono pratiche mediche, ancora molto diffuse, delle quali la scienza ha dimostrato l'inutilità - se non addirittura solo i possibili effetti indesiderati.
La metanalisi elenca quasi quattrocento casi di veri e propri "ribaltamenti", rispetto agli standard riconosciuti: pratiche che non solo non sono raccomandabili, ma sarebbero proprio da evitare perché la ricerca ha già dimostrato che sono inutili, se non addirittura dannose. Alcune di queste procedure sono in realtà già state abbandonate, altre finiscono per esserlo, ma molte altre continuano a venire eseguite per una sorta di inerzia, magari anche in buona fede, da medici convinti di fare il bene dei loro pazienti.
Per giungere a questa conclusione, gli autori dello studio pubblicato su eLife (una non profit che mette a disposizione degli scienziati un metodo di pubblicazione indipendente, hanno preso in esame gli studi clinici pubblicati tra il 2003 e il 2017 su tre tra le più importanti riviste mediche: il Journal of the American Medical Association, The Lancet e il New England Journal of Medicine.
In totale i ricercatori hanno selezionato oltre tremila articoli: di questi, 396, potevano essere definiti un medical reversal, ovvero un ribaltamento rispetto all’opzione comunemente praticata, che non si è dimostrata migliore e in certi casi perfino peggiore.
La categoria delle malattie cardiovascolari è stata, secondo gli autori, quella in cui si sono verificati più ribaltamenti (il 20% del totale), seguita dalla medicina preventiva e dalle cure in emergenza. Riguardo al tipo di convinzione rovesciata, le più comuni riguardavano farmaci che non si sono rivelati efficaci (il 33% dei casi), seguiti da procedure mediche e consigli su vitamine e supplementi per la salute che non servono allo scopo per cui vengono assunti.
Per esempio i supplementi di omega 3 dell’olio di pesce, non sembrano fornire alcuna protezione contro le malattie cardiovascolari, e il ginkgo biloba non aiuta a preservare la memoria. Un altro esempio è relativo alla chirurgia per il menisco: in caso di lesioni dovute all’invecchiamento, l’operazione non ha mai dimostrato di portare più benefici in termini di movimento e funzionalità rispetto alla fisioterapia.
Gravidanza e dintorni. Alcuni ribaltoni provengono dall’ostetricia e ginecologia. Per esempio, se durante l’ultima fase della gravidanza, prima del termine naturale, si rompono le acque, la regola seguita è di procedere immediatamente al parto, per paura di infezioni. In realtà, gli studi che hanno confrontato gruppi di donne monitorate senza fretta con altre fatte partorire velocemente, non hanno trovato differenze in fatto di infezioni per i neonati; per contro, le donne che si sono sottoposte al "parto affrettato" hanno poi avuto bisogno più spesso di ricorrere a cure intensive e di urgenza.
Anche la pediatria è un settore in cui spesso avvengono cambiamenti di rotta nelle indicazioni. Tra i casi segnalati, il comportamento da tenere per cercare di prevenire l’insorgere di allergie alimentari. Fino a non molto tempo fa, i pediatri consigliavano di evitare ai bambini piccoli, sotto i tre anni, cibi potenzialmente allergizzanti, come le arachidi. Gli studi più recenti non hanno riscontrato un aumento del rischio di allergia tra i bambini che non hanno seguito questa prescrizione. Anzi, la tendenza attuale è quella di introdurre presto, anche prima dell’anno di età, il consumo di questi cibi proprio tra i bambini a più alto rischio, per ridurre la probabilità di problemi futuri.
Altro caso che riguarda invece gli anziani: ai pazienti anziani colpiti da demenza o morbo di Alzheimer vengono spesso prescritti farmaci antidepressivi, ma gli studi non hanno dimostrato che servano a qualcosa. Può darsi che non si tratti di depressione vera e propria, oppure che il disturbo, in questa categoria di pazienti, abbia caratteristiche diverse.
Evitare farmaci e cure inutili o potenzialmente dannose è ovviamente nell’interesse del sistema sanitario nel suo complesso. Ma non è semplice. Secondo l’opinione degli autori, servono almeno dieci anni prima che la gran parte della comunità medica smetta di prescrivere pratiche diffuse di cui la scienza ha dimostrato l’inutilità.
Gli autori dello studio, si sono inoltre soffermati sulla questione dell’utilizzo appropriato delle risorse e di miglioramento dei sistemi sanitari: le risorse sono tutt'altro che infinite, e quelle disponibili è meglio riservarle a pratiche e interventi che si siano dimostrate efficaci. Almeno fino a prova contraria.